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Le maschere che indossiamo

le maschere che indossiamo

“Viviamo in una società paradossale. Da una parte siamo stati colpiti da una sorta di epidemia di narcisismo globale, ossessionati come siamo da noi stessi, dal nostro aspetto, e dal voler apparire a tutti i costi.

Dall’altra, siamo sempre più insicuri, fragili ed incapaci di accettare noi stessi. Ma forse questa tendenza non è poi così paradossale.

Forse siamo così fragili ed insicuri proprio perché siamo troppo concentrati su noi stessi, ma soprattutto perché ricerchiamo continue conferme all’ esterno, spaventati di guardare dentro di noi e trovare un vuoto siderale”.

Pier Paolo Pasolini, Scritti corsari, 1975.

Febbraio, periodo di carnevale, periodo di maschere.

Guardandoci intorno per strada incontriamo bambini mascherati dai loro supereroi preferiti o da principesse.

Peccato non essere più bambini e non poter più mettere la propria maschera!

Ma è proprio così?

O forse, molti di noi si muovono nel mondo continuando ad indossare maschere, magari cambiandole a seconda del contesto, senza quasi mai mostrare il loro vero sé?

Questo mese vogliamo affrontare il tema delle “maschere”, ovviamente fittizie, di cui ci serviamo per nascondere alcuni lati di noi e mostrarci al mondo in determinati modi e sfaccettature.

La capacità di stabilire relazioni sociali e interpersonali sane e significative, di vivere in un modo autentico e di arrivare a costruirsi un’indipendenza, non sono elementi scontati e di facile attuazione soprattutto nella società attuale.

Il bisogno di essere accettati dalla comunità e quindi di apparire come gli altri possano approvarci, probabilmente ha radici antiche ed ha sempre caratterizzato l’essere umano.

Il sociologo Goffman ritiene che ognuno di noi tende ad interpretare un personaggio e si muove nella vita come se fosse in uno spettacolo, affermando dunque che la libertà individuale è in realtà un’illusione e un’utopia (Goffman E., 1997).

Nelle sue opere, Pirandello ha messo in luce in diversi modi come l’uomo viva profondi conflitti tra il vero sé e quello che gli altri vedono di lui, le maschere che indossa in ogni occasione.

Si è chiesto dunque quale sia la vera identità di una persona e arrivando, in “Uno, nessuno e centomila” a ritenere che forse solo la follia può esprimere la nostra individualità e la nostra vera essenza.

Ma dov’è il benessere mentale e individuale in tutto questo?

I giovani vengono schiacciati, sempre più e sempre prima, dalla pressione di dover “fare” e fare bene, portando a crescenti vissuti di ansia e depressione, in età sempre più precoce, e a gesti a volte tragici, l’ultimo dei quali il suicidio di una giovanissima ragazza all’Università di Milano.

Con l’avvento dei social network, poi, è diventato quasi impossibile sfuggire dal bisogno dell’approvazione sociale.

Il social diventa una vetrina in cui indossiamo la nostra maschera migliore e mettiamo in mostra ciò che della nostra vita può essere ammirato e approvato dagli altri.

Sfogliando i nostri profili sembrano tutte vite fatte di viaggi, eventi sociali, cene costose, successi accademici, relazioni romantiche perfette.

Ma questo è molto lontano dalla vita reale e dai vissuti veri e profondi che ognuno di noi ha e che spesso finisce per nascondere, oltre che agli altri, anche a sé stesso.

Inizia da quando siamo piccoli

Fin dalla prima infanzia l’essere umano inizia a costruire le fondamenta per la formazione della propria identità e personalità, quindi per la formazione del Sè.

A grandi linee si verifica che se il bambino riscontra nell’ambiente di crescita una validazione e accoglienza dei propri desideri e bisogni, andrà a sviluppare un’identità sana e funzionale.

Mentre se questo non avviene è possibile che il bambino cresca andando a favorire i desideri, le richieste ed i bisogni altrui.

Nel momento in cui il bambino si trova a sperimentare solamente quest’ultima modalità patologica e disfunzionale di rapportarsi all’altro (falso Sè), con lo scopo di ottenere affetto dall’altra persona, da adulto si troverà a dover fare i conti con una serie di difficoltà.

Sarà un adolescente e poi un adulto non in grado di sapere chi è, poco capace di mettersi in contatto con bisogni reali e autentici, alla continua ricerca dell’approvazione altrui e succube del giudizio esterno.

Avere una sensibilità ai desideri e al giudizio altrui è presente in molte persone, ma diventa un problema nel momento in cui rappresentano il singolo criterio su cui si costruisce il proprio senso di identità.

La costruzione di una maschera, con cui muoversi nel mondo, diventerà l’inclinazione inconsapevole che porterà la persona a sviluppare malessere, rigidità, sofferenza.

Se ti va di approfondire l’argomento o senti di avere bisogno di un sostegno, non esitare a contattarci per un colloquio.

Biografia

Goffman Erving, “La vita quotidiana come rappresentazione”, 1997. Edizioni Il Mulino.

Pirandello Luigi, “Uno, nessuno e centomila”, 1926.

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